Consorzi di bonifica: incostituzionale la norma che impone il contributo indipendentemente dal beneficio fondiario
In punto di diritto è incostituzionale l’art. 23, comma 1, lettera a), della legge della Regione Calabria 23 luglio 2003, n. 11 (Disposizioni per la bonifica e la tutela del territorio rurale. Ordinamento dei Consorzi di Bonifica), nella parte in cui prevede che il contributo consortile di bonifica, quanto alle spese afferenti il conseguimento dei fini istituzionali dei Consorzi, è dovuto «indipendentemente dal beneficio fondiario» invece che «in presenza del beneficio».
È quanto ha deciso la Corte Costituzionale, con la sentenza del 19 ottobre 2018, n. 188.
La vicenda
La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Cosenza, con ordinanza del giugno 2017, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge della Regione Calabria 23 luglio 2003, n. 11 (Disposizioni per la bonifica e la tutela del territorio rurale. Ordinamento dei Consorzi di Bonifica), in riferimento agli artt. 119 e 23 della Costituzione, nella parte in cui prevede, a carico dei consorziati, l’obbligo di corrispondere il pagamento della quota del contributo consortile di bonifica imputabile alle spese afferenti al conseguimento dei fini istituzionali del consorzio, «indipendentemente dal beneficio fondiario».
La CTP a tanto ha provveduto, in virtù della proposizione di ricorso da parte del contribuente TIZIO contro il Consorzio di bonifica integrale bacini meridionali del Cosentino ed Equitalia Sud spa avverso una cartella di pagamento per contributi consortili dovuti per l’anno 2010, con il quale il ricorrente – oltre ad eccepire l’invalidità della notificazione della cartella di pagamento, essendo stata la stessa effettuata a mezzo del servizio postale e non dagli ufficiali della riscossione, e l’insufficienza della motivazione, consistente unicamente nel riferimento alla proprietà di un immobile all’interno del comprensorio del Consorzio – ha dedotto l’insussistenza di un concreto beneficio per il fondo, derivante dall’attività del Consorzio di bonifica.
I motivi della questione sollevata
La CTP osserva che – essendo il contributo consortile di bonifica previsto dalla legge statale e, dunque, non costituendo un tributo proprio della Regione – la disposizione censurata, che ne disciplina i criteri di applicazione, si pone in contrasto con l’art. 119 Cost. che, nel riconoscere alle Regioni autonomia finanziaria di entrata e di spesa, prescrive l’osservanza dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
⇒ Nella fattispecie, il censurato art. 23, comma 1, lettera a), nel prevedere la debenza del contributo consortile anche in assenza di alcun beneficio per il soggetto obbligato, si porrebbe in contrasto con le norme di coordinamento del sistema tributario che, nel settore della bonifica, sono individuabili nell’art. 59 del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215 (Nuove norme per la bonifica integrale), e nell’art. 860 del codice civile; disposizioni che invece presuppongono che ci sia sempre un beneficio per l’immobile ricadente nel perimetro del territorio del Consorzio di bonifica.
In via subordinata sarebbe violato l’art. 23 Cost., perché la disposizione censurata – secondo la CTP – non contiene alcuna direttiva o criterio sul presupposto fondante l’obbligo di pagamento dei contributi consortili.
La decisione
La Corte Costituzionale, mediante la menzionata sentenza n. 188/2018, ha ritenuto la questione di costituzionalità ammissibile e fondata e ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge della Regione Calabria 23 luglio 2003, n. 11 (Disposizioni per la bonifica e la tutela del territorio rurale. Ordinamento dei Consorzi di Bonifica), nella parte in cui prevede che il contributo consortile di bonifica, quanto alle spese afferenti il conseguimento dei fini istituzionali dei Consorzi, è dovuto «indipendentemente dal beneficio fondiario» invece che «in presenza del beneficio».
Sul punto controverso la Corte ha osservato in riferimento alla natura tributaria dei contributi consortili, ritenuta dalla CTP rimettente in conformità alla giurisprudenza di legittimità della Corte di cassazione, che in generale, il legislatore statale, nel disciplinare la provvista di un servizio pubblico, può escludere o, all’opposto, prevedere una relazione sinallagmatica con il servizio, seppur non in termini di stretta corrispettività, conformando una prestazione patrimoniale obbligatoria come tributo piuttosto che come canone o tariffa, conseguendo da ciò – «indipendentemente dalla qualificazione» della stessa (ex plurimis, sentenza n. 167 del 2018) – non solo la giurisdizione del giudice tributario, ma anche l’applicazione della disciplina dei tributi a partire dal canone della capacità contributiva previsto dall’art. 53, primo comma, Cost.
All’opposto, non può il legislatore qualificare come tributo ciò che in concreto, in ragione della sua regolamentazione, è conformato come canone o tariffa, perché da ciò conseguirebbe una illegittima deroga al canone generale della giurisdizione del giudice ordinario di cui all’art. 102, primo comma, Cost. (la sentenza n. 64 del 2008 ha affermato che «l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali»).
In particolare, quanto ai contributi consortili, poteva inizialmente apparire dubbia la loro natura tributaria in ragione del marcato collegamento tra la spesa sostenuta dal consorzio per le opere di bonifica e la contribuzione a tale spesa di cui i consorziati erano onerati, atteso che l’art. 11 del r.d. n. 215 del 1933 fa riferimento alla «ripartizione della quota di spesa tra i proprietari» degli immobili ricadenti nel perimetro di contribuenza, e l’art. 860 cod. civ. considera il «concorso dei proprietari alla spesa» necessaria per le opere di bonifica.
Nondimeno si è progressivamente affermata in giurisprudenza la natura tributaria dei contributi consortili.
Dopo la modifica dell’art. 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), ad opera dell’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)», con conseguente generalizzazione della giurisdizione tributaria a tutte le prestazioni di natura tributaria, si è definitivamente affermata la giurisdizione delle commissioni tributarie quale giudice speciale tributario sulle controversie aventi ad oggetto i contributi consortili di bonifica (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 3 maggio 2016, n. 8770).
Questo approdo, costante ed univoco, cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità, si fonda sulla struttura della disciplina della prestazione, sicché può dirsi che il contributo consortile di bonifica ha natura tributaria, conformemente alla sua struttura non sinallagmatica, e costituisce un contributo di scopo.
Questo essendo ormai il punto d’arrivo del diritto vivente, deve conseguentemente identificarsi un vero e proprio potere impositivo del consorzio nei confronti dei consorziati sul presupposto della legittima inclusione del bene immobile nel comprensorio di bonifica e del «beneficio» che all’immobile deriva dall’attività di bonifica.
In ragione di tale qualificazione, il necessario «beneficio» non è espressione di un rapporto sinallagmatico, ma c’è un tributo che può definirsi di scopo, almeno in senso lato, perché destinato ad alimentare la provvista del Consorzio per poter realizzare le opere di bonifica.
Il beneficio che giustifica l’assoggettamento a contribuzione consortile non è legato, con nesso sinallagmatico di corrispettività, all’attività di bonifica, come sarebbe se si trattasse di un canone o di una tariffa, che invece tale nesso sinallagmatico presuppongono.
Nondimeno, nel caso dei contributi consortili di bonifica, il beneficio per il consorziato-contribuente deve necessariamente sussistere per legittimare l’imposizione fiscale: esso però consiste non solo nella fruizione, ma anche nella fruibilità, comunque concreta e non già meramente astratta, dell’attività di bonifica, che, in ragione del miglioramento che deriva all’immobile del consorziato, assicura la capacità contributiva che giustifica l’imposizione di una prestazione obbligatoria di natura tributaria.
Pertanto, fermo restando che la debenza dei contributi consortili trova la sua fonte (statale) ancora nell’art. 860 cod. civ. – che prescrive che i proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio sono obbligati a contribuire nella spesa necessaria per l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle opere di bonifica (per cui, secondo la sentenza n. 5 del 1967, «l’obbligo di contribuenza deriva dalla legge») – la norma di principio, che li governa, può ricavarsi dal canone generale della stessa disposizione che parametra il contenuto della prestazione patrimoniale obbligatoria al beneficio che i consorziati traggono dalla bonifica.
Canone questo che è in stretta continuità sia con la previsione del (tuttora vigente) art. 11 del r.d. n. 215 del 1933 – secondo cui la ripartizione della «quota di spesa» tra i proprietari è fatta «in ragione dei benefici conseguiti» per effetto delle opere di bonifica e i criteri di ripartizione sono fissati negli statuti dei consorzi o con successiva deliberazione degli stessi – , sia con la richiamata intesa Stato-Regioni del 18 settembre 2008, che ha previsto che le spese del consorzio sono a carico dei consorziati «i cui immobili traggono beneficio dalle azioni dei Consorzi».
Quindi, per i contributi consortili, quali «quote di partecipazione al costo delle opere di bonifica» a carico dei proprietari consorziati, il criterio fondamentale di questa prestazione patrimoniale di natura tributaria è il beneficio tratto dalle opere di bonifica e più in generale dall’attività del consorzio, secondo criteri fissati negli statuti o nelle delibere dei consorzi stessi, nel rispetto della disciplina regionale.
Nella fattispecie all’esame della Corte la tesi del Consorzio si è sostanziata nel seguente assunto: è legittimo l’assoggettamento alla contribuzione consortile in ragione del solo inserimento dell’immobile nel comprensorio del consorzio e, quindi, «indipendentemente dal beneficio fondiario», come testualmente prevede la disposizione censurata alla lettera a) del comma 1 dell’art. 23 della legge reg. Calabria n. 11 del 2003.
La legge reg. Calabria n. 11 del 2003 disciplina i contributi consortili all’art. 23 il quale stabilisce che il contributo consortile di bonifica è costituito dalle quote dovute da ciascun consorziato per il funzionamento dei Consorzi ed è applicato secondo i seguenti criteri:
a) «per le spese afferenti il conseguimento dei fini istituzionali, indipendentemente dal beneficio fondiario»;
b) per le spese riferibili al successivo articolo 24, comma 1, lettera b), sulla base del beneficio.
Vi sono quindi due quote del contributo consortile, la prima delle quali – quota a) – è testualmente indipendente dal beneficio fondiario, mentre la seconda – quota b) – presuppone il beneficio per il consorziato.
Ebbene, tale testuale esclusione del beneficio fondiario ha proprio il significato e la portata di disancorare la debenza della quota a) – così resa autonoma e distinta dalla quota b) – dal beneficio risultante dalla rilevazione fatta dal Consorzio con il piano di classifica e con il relativo perimetro di contribuenza.
In tal modo però risulta violato il più volte citato principio (settoriale) del sistema tributario, che vuole invece che l’assoggettabilità a contribuzione consortile presupponga il beneficio derivato all’immobile dall’attività di bonifica.
Il legislatore regionale non può disancorare la debenza del contributo consortile dal beneficio che agli immobili deriva dall’attività di bonifica, assoggettando a contribuzione consortile i consorziati per il solo fatto che l’immobile sia ricompreso nel comprensorio di bonifica (il quale – come già rilevato – potrebbe anche essere esteso a tutto il territorio della Regione sì da comprendere, indistintamente, tutti gli immobili), perché, ove ciò facesse, si avrebbe, non più un contributo di scopo di fonte statale disciplinato dalla legge regionale come tributo derivato, ma un’imposta fondiaria regionale di nuovo conio che, come tributo regionale proprio, eccederebbe la competenza del legislatore regionale.
Può aggiungersi, infine, che la successiva legge reg. Calabria n. 13 del 2017 ha rimediato per il futuro a tale vulnus perché, all’art. 1, ha novellato il comma 1 dell’art. 23 della legge reg. Calabria n. 11 del 2003, prevedendo – senza più distinguere tra quota a) e quota b) – che i proprietari di beni immobili agricoli ed extragricoli ricadenti nell’ambito di un comprensorio di bonifica, che traggono un beneficio, consistente nella conservazione o nell’incremento del valore degli immobili, derivante dalle opere pubbliche o dall’attività di bonifica effettuate o gestite dal Consorzio, sono obbligati al pagamento di un contributo consortile, secondo i criteri fissati dai piani di classifica elaborati e approvati ai sensi del successivo art. 24 e specificando che per beneficio deve intendersi il vantaggio tratto dall’immobile agricolo ed extragricolo a seguito dell’opera e dell’attività di bonifica tesa a preservarne, conservarne e incrementarne il relativo valore.
In conclusione la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge reg. Calabria n. 11 del 2003, nella parte in cui prevede che il contributo consortile di bonifica, quanto alle spese afferenti al conseguimento dei fini istituzionali dei Consorzi, è dovuto «indipendentemente dal beneficio fondiario» invece che «in presenza del beneficio».
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